domenica 25 agosto 2013

«Fu il sangue mio d'invidia sì riarso che se veduto avesse uomo farsi lieto, visto m'avresti di livore sparso. (Dante Alighieri, Purgatorio, XIV, vv.82-84).

L'invidia



Mi piace spendere qualche parola su questo sentimento al giorno d'oggi così diffuso: ne siamo circondati, vittime anche inconsapevoli di cuori neri, arsi dalla rabbia, insoddisfatti dalla vita. In modo più approfondito l'invidia può essere definita come il
« rammarico e risentimento che si prova per la felicità, la prosperità e il benessere altrui, sia che l'interessato si consideri ingiustamente escluso da tali beni, sia che già possedendoli, ne pretenda l'esclusivo godimento... è il desiderio frustrato di ciò che non si è potuto raggiungere per difficoltà o ostacoli non facilmente superabili, ma che altri, nello stesso ambiente o in condizioni apparentemente analoghe, ha vinto o vince con manifesto successo. »
L'invidia genera non solo dolore, ma anche «tristezza per i beni altrui» che l'invidioso vorrebbe per sé poiché giudica che l'altro li possegga immeritatamente e debba essere punito per questo con l'espropriazione.
Tra i filosofi greci Epicuro,  in rilievo il danno morale e l'inutilità di colui che invidia
« Non si deve invidiare nessuno; visto che i buoni non meritano invidia, ed in quanto ai cattivi, più essi trovano buona sorte più si rovinano. »
Nella dottrina cristiana l'invidia compare fin dai tempi biblici con il fratricidio di Caino invidioso dell'amore di Dio per Abele . Lo stesso vizio capitale attraversa Antico Testamento, che lo definisce «carie delle ossa», per giungere fino al Nuovo dove Cristo viene dato a Pilato che «sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia».
L'invidia è dunque il «peccato diabolico per eccellenza» per Sant'Agostino poiché, come nota San Basilio, Caino vittima e discepolo del diavolo ha fatto sì che «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo»

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