lunedì 18 marzo 2013



 di Elisabetta De Dominis


Ho conosciuto Dušan Mlacović – docente di storia medievale dell’Europa sudorientale all’Università di Lubiana – un paio di estati fa ad Arbe, isola della Dalmazia (oggi Croazia) dalla quale proviene la mia famiglia. Mi aveva raccontato storie affascinanti sulla mia famiglia avendo appena scritto un libro “La Nobiltà e l’isola. Caduta e ascesa della nobiltà di Arbe” (Leykam), oggi finalmente tradotto sia in inglese che in italiano.
L’autore parte dalla fine della nobiltà, avvenuta nell’800, scoprendo, attraverso un viaggio a ritroso nei documenti conservati nelle chiese e nelle biblioteche, che Arbe fu ricca e indipendente fino all’inizio del dominio veneziano, quando il suo porto era un passaggio obbligato per i traffici sicuri in un mare infestato dai pirati. Mlacović sottolinea come dal X secolo la comunità fosse retta da un gran consiglio formato da nobili e popolani, - fatto civile quanto singolare per l’epoca -  che già allora regolava la proprietà fondiaria secondo l’istituto romano della compravendita e non barbaramente come terra di conquista. Con l’avvento di Venezia i popolani non furono più ammessi nel consiglio dei nobili, ma solo perché diventarono nobili anch’essi. Presupposto della nobiltà in senso veneto era infatti l’aggregazione secolare di una famiglia a un corpo nobile dello Stato.
Ma ecco che l’avvento dell’impero austroungarico all’inizio del 1800 mise in forse quella elite che sempre era stata riconosciuta dai diversi domini (croato, ungherese, veneziano). L’imperatore austriaco richiedeva il diploma di nobiltà per riconoscere nobili i suoi sudditi?! Era un affronto troppo grande, un’umiliazione inaudita. La nobiltà delle famiglie che componevano il Consiglio dei nobili di Arbe era immanente: aveva guidato le sorti dell’isola dalla caduta dell’impero romano, quando ancora gli Asburgo pascolavano le capre sui monti. Questo disse infuriato il conte Vincenzo de Dominis ai suoi pari, i nobili Galzigna, Nimira, Zudenigo, Spalatin e Livich riuniti nel palazzo ducale. Passarono anni prima che riuscisse a prendere carta e penna per scrivere la supplica di riconoscimento della nobiltà: era il 25 aprile 1837. L’archivio di Zara conserva questa lettera in un italiano moderno, che racconta tempi e gesta degli uomini insigni dell’isola dalmata. Ma Vincenzo de Dominis – chissà perché - non allegò la copia del documento in cui nel 1434 l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo conferiva a Ivan de Dominis un nuovo stemma e il palatinato a tutti i discendenti maschi e femmine in perpetuum. Ivan era così potente che era riuscito a convincere il papa ad eleggere Sigismondo imperatore del Sacro Romano Impero…. quando tale carica era ancora elettiva. Gli Asburgo, come si sa, s’impadronirono nel ‘500 dell’impero e lo resero trasmissibile ai loro eredi. Per 300 anni dettarono le sorti dell’Europa e, quando infine si impadronirono anche del dominio sul mare che era stato della Serenissima per quattro secoli, pensarono di eliminare tutti i nobili che erano stati fedeli a quest’ultima e a depauperarli con una riforma agraria.
Tuttavia il nipote di Vincenzo, Dragomir de Dominis, mio bisnonno, con caparbietà e determinazione riuscì a farsi riconoscere il titolo dall’imperatore Francesco Giuseppe, presentandogli il famoso diploma e ricomprandosi un sacco di terre confiscate. Dopo pochi anni il comunismo eliminò la proprietà privata permettendo di razziare il razziabile. E benché la Croazia entri in Europa a luglio, la certezza del diritto in questo Paese è ancora più lontana di dieci secoli fa.

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