mercoledì 14 settembre 2011

La mia biblioteca romatica- Christmas in love 2010


20 autrici italiane, 20 pseudonimi che alla fine verranno svelati in un caleidospio di storie d'amore belle, passionali  e coivolgenti. Il mio racconto "Una tempesta inaspettata" di Stella del Mar, cioè la sottoscritta!


UNA TEMPESTA INASPETTATA” di Simona Liubicich

Quel pomeriggio di dicembre il mare dalle molteplici sfumature di verde si infrangeva impetuoso contro la scogliera, ingrossato dalla forza del maestrale e dalla tempesta in rapido avvicinamento, facendo giungere i suoi spruzzi salati sino alle piccole finestre della casa sulla radura.
Il promontorio di Santa Caterina, dove avevo recentemente affittato il cottage, era spazzato dal vento incessante che urlava straziato, come me, come la mia anima…
Avevo lasciato tutto; il mio lavoro, la mia famiglia, la mia vita e non sapevo che ne sarebbe stato di me. Volevo sprofondare in quella solitudine fredda e lontana, in quella disperazione che mi avvolgeva nelle sue spire come un serpente velenoso.
Non m’importava…non m’importava più di nulla e nessuno, speravo di morire in quel posto dimenticato da Dio, e volevo morirci da sola.
Natale stava ormai bussando alle porte, era l’Antivigilia, ma la gioia delle feste mi causava dolore come l’alcool su una ferita aperta; tutta quella musica sdolcinata, i cori dei bambini e tutta la gente felice solo per pochi giorni l’anno, che fa finta di dimenticare la tristezza ed i guai solo per qualche luce accesa in paese, perché le campane suonano a festa e si deve fare l’abete e il presepe; oh, mi facevano tutti schifo, ipocriti!
Erano passati quasi sei mesi da quel giorno, ma ancora non mi ero ripresa dalla sua scomparsa.
State pure tranquilli, non sto parlando di un morto; la “sua scomparsa” si riferisce a quando quel gran bastardo del mio ex compagno una mattina si alzò e, come se nulla fosse, mi disse: - Non va più tra noi, da troppo tempo! Mi sei venuta a noia Susanna e…sono innamorato di un’altra!-.
Di tutti i modi per comunicare un evento così infausto lui aveva scelto il peggiore, freddo e crudele.
Era proprio un gesto degno di lui, della sua pochezza d’animo della quale io mi ero accorta solo alla fine.
Non un allarme, un gesto, un maledetto segno che mi avesse fatto sospettare che tra noi ci fosse qualcosa che non andava; io non mi ero mai accorta di nulla, e credetemi, non sono una stupida; lavoro come giornalista per una piccola tv di provincia, lui è medico chirurgo all’ospedale civile della nostra città. Una vita normale, mediamente agiata, con il sabato assieme agli amici, il Natale in famiglia e le vacanze d’agosto in Sardegna.
Otto anni insieme; una coppia solida, almeno io, povera illusa, ne ero stata convinta.
Quel giorno tutti i miei sogni si erano infranti; la tazzina di caffè mi era scivolata dalle mani, frantumandosi sul pavimento e macchiando indelebilmente il marmo bianco di Carrara della nostra cucina.
Ero rimasta lì, pietrificata, pensando che forse mi stesse facendo uno scherzo di cattivo gusto; ma Federico non scherzava mai, era sempre stato troppo serio.
Aveva riempito un trolley con le sue cose necessarie e prima di uscire per sempre da casa nostra e dalla mia vita, aveva detto: - Mi dispiace!    -
Io non avevo ribattuto, me ne ero rimasta lì come una trota, zitta e passiva, come sempre.
Dipendevo da lui, in tutto e per tutto; i suoi amici erano i miei amici e adesso io non avevo più nemmeno loro; lui continuava a frequentarli, io non potevo…
Ora c’era lei.
Nessuno mi aveva fatto neppure una telefonata; erano tutti curiosi di conoscere Elisa, al diavolo Susanna, quella povera sciocca che per otto anni era stata al suo fianco.
Avevo lasciato il lavoro da pochi giorni; il proprietario della piccola rete televisiva per la quale lavoravo era un mio conoscente di vecchia data ed anche l’unico che mi aveva detto di prendermi un periodo di riposo, di fuggire dalla città e dal dolore che mi attanagliava ogni giorno il petto.
Non ero Lilli Gruber, potevo anche stare a casa per un poco, nessuno se ne sarebbe accorto.
La mia famiglia aveva steso un velo di pietoso silenzio sulla faccenda, non capivano il tracollo di questa convivenza (dimenticavo di dire che Federico ed io non ci siamo mai sposati, lui aveva sempre sostenuto che il matrimonio fosse solo un mero contratto scritto senza valore intrinseco) e d’altronde non se ne erano mai interessati troppo; vivevano a Milano ed io in una cittadina ligure, avendo scelto di seguire Federico quando aveva vinto il concorso all’ASL.
Grazie al cielo non c’erano bambini di mezzo; tempo addietro ci avevamo provato ma, rendendoci conto dopo mesi che nulla accadeva, avevamo lasciato cadere la questione.
Federico non gradiva approfondire e conoscere i motivi dei “fallimenti”.

Osservavo la maestosità del mare in tempesta, rigirandomi tra le mani una tazza di tè bollente, fissando il cielo plumbeo e le nubi basse che si rincorrevano in una danza esasperante.
Erano settimane che non andavo da un parrucchiere e i miei ricci rossi, già incolti per natura, ricadevano in onde disordinate sino a metà schiena.
Non riuscivo a smettere di soffrire; avrei voluto dimenticare, abbandonare per sempre l’idea che Federico sarebbe tornato da me alla fine, ma non ci riuscivo.
Dovevo smettere di costruire castelli in aria; lui ormai stava con Elisa, l’infermiera bionda e solare del Pronto Soccorso, colei che vestita di bianco come un angelo aveva sempre un sorriso per tutti (anche per il mio ex compagno…) ed io ero sola in quella casa a picco su un mare al tramonto, vicinissima al Natale, sperando di essere inghiottita dalla tempesta che si stava avvicinando minacciosa…
Fu un improvviso bussare alla porta che mi fece sobbalzare, chiedendomi chi diavolo ci potesse essere all’uscio in una giornata da lupi come quella.
Risiedevo lì da appena dieci giorni; le chiavi le avevo ritirate all’agenzia immobiliare del paese che distava almeno cinque chilometri.
Passeggiate solitarie, libri strappalacrime e gabbiani erano i miei unici compagni di vita; ero isolata dal mondo, e per la prima volta mi resi conto di essere davvero “sola“.
Un po’ intimorita, andai verso la finestra situata di fianco alla porta d’ingresso per riuscire a vedere chi ci fosse là fuori. La pioggia aveva iniziato a scrosciare forte, e quando la aprii il vento e l’acqua mi investirono sferzandomi il viso come milioni di spilli, scompigliando i miei capelli come una massa infuocata deforme.
-           Chi è?  - chiesi, titubante.
Un uomo alto si parò davanti alla piccola finestra dalle tendine bianche e gialle; ben composto, il volto semicoperto da un berretto militare a tesa larga per ripararsi dall‘incessante pioggia, un giaccone verde e pantaloni mimetici.
Quando alzò lo sguardo verso di me, vidi i due occhi più azzurri ed intensi che avessi mai potuto osservare.
-           Mi scusi signora Pierelli, spero di non averla spaventata! - mi disse in tono formale.
Conosceva il mio nome…come era possibile?
-           Mi chiamo Alberto Testi, sono il proprietario della casa! Stavo controllando la zona forestale qui attorno per il forte vento ed il temporale che incombe; ho visto che le luci di casa erano accese e volevo accertarmi che andasse tutto bene!      -
-           Oh, certo…si! Aspetti, la faccio entrare!      - gli risposi.
Non potevo essere completamente sicura di lui, era un perfetto sconosciuto ma nelle condizioni psicologiche in cui mi trovavo, pensai che non m’importava molto di ciò che mi sarebbe potuto succedere.
Dovevo essere impazzita ma aprii la porta e lo feci entrare.
La casa sembrò istantaneamente più piccola con la sua presenza imponente.
-           Vuole togliersi la giacca? Ho appena preparato un the caldo…       -
-           La ringrazio, molto gentile! In effetti in una giornata come questa qualcosa che scaldi lo stomaco è ben gradita!           -
Si tolse il giaccone; sotto indossava un maglione nero a coste con il collo a dolcevita.
Mi scoprii, senza parole, a osservarlo impudicamente; era bello, il fisico possente di chi trascorre molte ore di lavoro all’aperto, la pelle abbronzata che incorniciava un volto marcato e spigoloso, occhi che sembravano due pozze color cobalto e una bocca carnosa che mi fece pensare a cose che, per pudore, non ripeterò.
I capelli erano folti e corti, neri come la pece; pensai istantaneamente a un gladiatore romano.
Appese la giacca dietro la porta, ove era situato un appendiabiti e ci accomodammo nel piccolo salottino di stoffa chiara a motivi floreali che si affacciava sulla finestra a bovindo, rivolta verso il mare, io sul sofà e lui su una poltrona; la tempesta si stava avvicinando, i tuoni erano sempre più forti e i lampi si riflettevano minacciosi sulle pareti della casa.
Servii il the zuccherato in due tazzone rosse dall’aria poco elegante, ma lui sembrò ugualmente gradire, in fondo stavo usando le sue suppellettili!
Mi osservava di sottecchi mentre parlavamo ed io mi sentivo un mostro; con indosso una tuta grigia informe e senza un filo di trucco, sembravo scappata da un manicomio!
Mi raccontò di essere una guardia forestale; viveva nel paese vicino e aveva acquistato il cottage per pura passione; amava quel promontorio sin da bambino, quando insieme agli amici veniva a fare scorribande in bicicletta e giocare a pallone nell’ampia radura, sorridendo al ricordo di quante palle si era portato via il mare…
Ultimamente aveva deciso di affittarlo stagionalmente ai turisti poiché la crisi si faceva sentire in tutta Italia ed i soldi si sa, non erano mai abbastanza quando si doveva arrivare alla  fine del mese.
Era separato da diversi anni, un matrimonio d’amore contratto in un’età talmente giovane che presto, troppo presto la fiamma si era affievolita e spenta; di comune accordo, appena venticinquenni, lui e Sara avevano deciso che era meglio proseguire per strade differenti. Erano rimasti in ottimi rapporti, lei viveva ancora al paese dove gestiva una piccola trattoria tipica insieme al nuovo compagno.
Per Alberto nessuna storia importante e nessun legame stabile, tanto lavoro e serate tranquille trascorse a giocare a carte al circolo sportivo con gli amici di sempre.
Apprezzai molto la sincerità e la schiettezza dell‘uomo; era cordiale e simpatico, e lo trovai anche molto affascinante.
Gli raccontai della mia vita, del mio lavoro di piccola giornalista, della mia “fuga” dovuta alla rottura del rapporto con il mio ex e della voglia di stare isolata dal mondo per un poco, sino a quando le mie idee non si fossero del tutto schiarite.
Iniziammo a darci del “tu” quasi senza accorgercene, ritrovandoci a scherzare e ridere dopo il the con due bicchieri di vino rosso in mano, raccontandoci aneddoti di gioventù mentre fuori il temporale squassava il cielo con grandine e fulmini.
I suoi occhi sorridevano, la sua voce era bassa e sensuale e la sua risata argentina; mi scoprì a pensare a lui all’improvviso come a un “maschio“, un oggetto di sesso e non all‘uomo che avevo dinanzi.
Dopo Federico non c’era stato più nessuno, avevo trentaquattro anni ed ero una donna; una donna ancora giovane che da mesi era sola, disperatamente sola.
Il tempo trascorse veloce ed il buio avvolse presto la radura e tutto il resto; un boato tremendo in quell’istante esplose vicino al cottage e  la luce mancò di colpo, lasciando la casa nell’oblio più assoluto.
-           Accidenti, che botta! Bisogna resettare le valvole in cantina! Aspetta, ci vado io! - disse Alberto tranquillamente, mentre io ero balzata in piedi come una ragazzina terrorizzata.
La luce tornò pochi istanti dopo e lui riapparve nella stanza.
-           La tempesta è quasi sopra di noi adesso, sarà meglio che vada prima di rimanere bloccato qui! Sei sicura di voler restare da sola con questo tempo, Susanna? - mi chiese.
Esitai per qualche secondo; avevo paura a restare in quel cottage isolato quella notte, ma non era solo questo.
Mi accorsi di desiderare che Alberto si fermasse, non solo per farmi compagnia; lo volevo, forse per rabbia, forse per il vino che mi rendeva più disinibita ma non faceva differenza, lo volevo con me quella notte.
Temevo di poter essere scambiata per il tipo di donna che non ero, mentre lo fissavo in quegli occhi blu senza parlare; non ci fu bisogno di dire nulla perché lui mi si avvicinò tanto da farmi sentire il calore che emanava il suo corpo, scrutandomi in maniera inequivocabile.
-           Vuoi che me ne vada, Susanna?        - chiese, la voce roca dal desiderio.
-           No       - gli risposi di getto, senza sapere da dove mi giungeva quel coraggio inaudito     - Resta con me, Alberto, stanotte!       -
Era pericolosamente vicino, il suo respiro rovente sulla mia fronte; stavo attendendo, tremando, l’attimo in cui mi avrebbe sfiorato per la prima volta. Con un gemito strozzato mi strinse tra le sue braccia, affondando la testa nei miei ricci scompigliati. Mi alzò il viso verso di lui con un dito e prese la mia bocca con ardore e prepotenza, invadendomi il corpo e l’anima, facendomi girare la testa e desiderare molto, molto di più.
Mi baciò con una selvaggia passione che io ricambiai avida, con le ginocchia tremanti, avvinghiata al suo corpo possente, sino a che mi sollevò di peso come fossi una piuma, dirigendosi verso la stanza da letto e aprendo la porta con un calcio.
Mi depose delicatamente sul giaciglio, continuando a baciarmi.
I vestiti finirono sul pavimento uno a uno; il temporale fuori impazzava maestoso ma la tempesta più grande stava avvenendo, inaspettata, tra le pareti di quel piccolo cottage sul picco del promontorio.
Ciò che ricordai più tardi di quel momento paradisiaco, furono i nostri gemiti languidi, i muscoli guizzanti della sua schiena liscia e i suoi capelli tra le mie mani frementi di passione che cercavano, accarezzavano e sfioravano ardite, insieme alle mie labbra, tutto il suo corpo.
Quando mi svegliai, era già mattina; la luce del sole filtrava timida dalle tende della stanza e un profumo di caffè aleggiava tutt’intorno.
La tempesta era cessata.
Al ricordo di quella notte di passione, avvampai vergognosa; che avevo fatto? Mi ero concessa a un uomo, un perfetto sconosciuto senza alcun pudore e ritegno. Che cosa avrebbe pensato ora di me?
Avevo raggiunto il paradiso tra le sue braccia, in quella notte dove Susanna ed Alberto non esistevano, ma c’erano solo un uomo ed una donna che si erano dati l’un l’altra con passione e dolcezza, senza pretendere nulla in cambio.
Il letto dalla parte di Alberto era ancora caldo, si era alzato da poco…
Mi sollevai da quel groviglio di lenzuola, avvolgendo la coperta al mio corpo per nascondere la mia nudità; ero abbastanza magra ma non avevo mai amato troppo i miei fianchi larghi e le cosce tornite.
Timida e preoccupata, feci capolino dalla stanza; l’espressione che vidi in lui, chino sui fornelli, mi scaldò il cuore, anche se fuori imperversava il freddo di dicembre.
Alberto mi stava guardando e il suo sorriso era la cosa più bella che avessi visto negli ultimi tempi, per me così bui.
Mi raggiunse in un paio di falcate accogliendomi tra le sue braccia, contro il suo torace nudo, rovente.
Non sapevo se sarebbe durata, forse sarebbe stata solo l’avventura di una notte, ma le mie ferite avevano già iniziato a guarire, a rimarginarsi.
La donna che era in me stava riaffiorando, più forte, consapevole di una nuova identità e di un mondo che le si aprivano dinanzi e che aspettavano solo di essere esplorati.
Guardandomi serio, con quegli occhi color del mare più profondo, mi disse: -       Prima che tu possa parlare, vorrei farti sapere che ciò che è accaduto tra noi questa notte non è una cosa alla quale io sono abituato! Non so cosa mi sia preso, Susanna, ma mi hai fatto girare la testa e non sono più stato padrone di me stesso! Spero davvero che per te sia stata la stessa cosa…  -.
Mi accorsi che improvvise calde lacrime facevano capolino tra le mie ciglia.
-           Temevo mi giudicassi male a causa di questa notte! Se per te è stata una cosa insolita, beh… per me …io non avevo mai fatto una cosa del genere! Dopo Federico io non ho avuto nessuno! Poi se arrivato tu e…     -
Non mi lasciò finire la frase perché mi baciò con passione, facendo cadere a terra la coperta che mi avvolgeva.
Non c’è bisogno di dire che il letto quel giorno rimase disfatto e stazzonato…
Nel mio cuore sentivo una musica dolce e timida che faceva capolino dal nero abisso degli ultimi mesi, la mia anima sembrava più leggera e tra le sue braccia scoprii un nuovo universo, fatto di tenerezza e passione, complicità e forse qualcosa di più, anche se non osavo sperare tanto.
Era la vigilia di Natale, forse c’era speranza…

FINE

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